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Martedì, 17 Marzo 2015 00:00

Stampare moneta non fa ripartire la crescita

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Stampare moneta non fa ripartire la crescita
di Gianfranco Fabi

Dal 9 marzo la Banca centrale europea con la collaborazione delle banche nazionali ha iniziato il tanto decantato programma di “quantitative easing” sulla scia di quanto attuato negli ultimi anni dalla Fed, la banca centrale americana.
Innanzitutto è bene sottolineare che “quantitative easing” (QE) significa letteralmente “alleggerimento quantitativo”, una definizione abbastanza oscura che nasce dal linguaggio degli economisti americani, tanto ricchi di fantasia sul piano lessicale e delle forbite analisi, quanto poveri di idee capaci di andare oltre e le argomentazioni matematiche.
In pratica con questa iniziativa le banche centrali acquistano, pagandoli al prezzo di mercato, strumenti finanziari (titoli di Stato e obbligazioni societarie) in modo da aumentare la liquidità in circolazione nella speranza che questa liquidità possa passare dagli istituti di credito alle famiglie e alle imprese. La Bce stampa quindi carta moneta e la mette a disposizione del sistema economico.

Gli obiettivi, oltre a quello di facilitare i finanziamenti, sono:
1) riportare l’inflazione, in questo periodo quasi inesistente, verso quota 2%;
2) cercare di far svalutare l’euro soprattutto nei confronti del dollaro in modo da facilitare e rendere più competitive le esportazioni;
3) mantenere bassi i tassi di interesse in modo da spingere i privati ad investire, direttamente o indirettamente, nelle attività produttive.

Tutto bene quindi. Si, certo, tutto bene… tranne un piccolo particolare. A far girare l’economia non è il denaro, ma sono le scelte libere, spontanee, spesso irrazionali ed arbitrarie delle milioni di persone che compongono il mercato. Il motore della crescita è innanzitutto la fiducia, la prospettiva di poter avere un futuro migliore, la volontà di rischiare, la capacità di intravedere soluzioni nuove per i problemi nuovi.

L’esperienza americana del QE è stata positiva perché ha potuto innestarsi su di una società in cui c’è grande dinamismo, in cui il merito viene premiato, in cui la crescita demografica resta significativa anche grazie all’alto numero di immigrati provenienti praticamente da tutto il mondo. Non è un caso che tutte le innovazioni degli ultimi decenni siano nate in America: da internet all’i-phone, dai software applicativi all’automobile senza guidatore.
L’Italia è invece di fronte ad una contrazione demografica (ed è questo uno dei segni più evidenti della mancanza di fiducia nel futuro), ha capacità innovative sviluppate solo in settori di nicchia, ha un peso particolarmente forte degli oneri fiscali e previdenziali sulle imprese.
L’economia è come un automobile: per muoversi ha bisogno che tutte e quattro le ruote girino. Il denaro è una ruota, ma le altre sono la fiducia, un contesto favorevole, un mercato in crescita. Quest’ultimo punto è particolarmente importante perché uno dei maggiori fattori di debolezza dell’Italia è il calo della domanda interna dovuto a fattori strutturali, come l’invecchiamento della popolazione e il fatto che nascano ogni anno un numero di bambini che è esattamente la metà rispetto agli anni ’60 del secolo scorso, insieme a fattori congiunturali e in particolare alle politiche di austerità necessarie per rimediare agli eccessi di spesa, e di debito pubblico, degli anni ’80 e ’90.

Di fronte a questi problemi, il fiume di denaro della Banca centrale europea rischia di creare non solo pericolose illusioni, ma anche ulteriori fattori di instabilità. Illusioni perché senza interventi di rilancio strutturale, per esempio aiutando di più e meglio le famiglie, la domanda interna difficilmente potrà ripartire. Instabilità perché, come hanno dimostrato molti episodi negli ultimi anni, la troppa finanza rischia di avvitarsi su se stessa creando pericolose bolle speculative.
Il denaro deve restare uno strumento per far funzionare meglio il mercato. Se diventa un idolo cominciano, o continuano, i guai.

 

Euro-Appesi


 

 

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